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Come ho avviato la mia carriera da progettista sociale come libera professionista (Partita Iva)


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Progettista Alessia Massaro. Alessia lavora come Project Manager per enti pubblici e privati. Ha un profilo multisettoriale e progetta in differenti aree tematiche tra cui: educazione non formale, inclusione sociale, tutela delle donne, accoglienza migranti e servizi socio-assistenziali. Ha frequentato un master in progettazione nel 2019 e ha cominciato a fare esperienza di scrittura bandi anche a livello internazionale, supportando enti no profit in India e Ghana. Alessia si occupa di facilitazione Workshops, Design Thinking, Ricerca, Attività di monitoraggio, rendicontazione e Advocacy.


Come ho avviato la mia carriera da progettista sociale come libera professionista (Partita Iva)


Una delle domande che mi viene fatta più spesso è:

“Come hai fatto a diventare una libera professionista nella progettazione sociale?”

Essere indipendente economicamente in questo settore, spesso frammentato e poco strutturato, non è scontato. Ma è possibile. In questo articolo racconto come ci sono riuscita, senza grandi investimenti economici iniziali e senza "colpi di fortuna", ma con costanza, pazienza e lavoro di rete.


1. Ho chiesto aiuto (e lavoro)

Il primo passo non è stato cercare clienti, ma chiedere aiuto alle persone giuste. Ho contattato professioniste e professionisti del mio ambito, non per propormi in modo commerciale, ma per presentare la mia esperienza, le mie competenze e soprattutto la mia attitudine professionale.

Ho messo in luce quello che sapevo fare ma anche come lo facevo: le mie capacità organizzative, comunicative, la flessibilità e l’affidabilità. È stato un modo per far circolare il mio nome, con rispetto e trasparenza.

Un documento che mi è stato utile fin dall’inizio è il riepilogo dei bandi presentati con chiara evidenza di quelli approvati e non; compilato anno dopo anno, ora conta una lista di oltre 120 progetti presentati.


2. Ho investito tempo (e pochi soldi) nel mio personal branding

Non ho fatto grandi investimenti economici, ma ho scelto di investire il mio tempo per costruire una presenza professionale visibile e credibile:

● Ho creato un sito professionale, nel mio caso ho usato Jimdo, una piattaforma semplice e intuitiva, perfetta se non si è esperte. Il mio sito racconta di me e del mio lavoro: Gestione e Progettazione Sociale con il Terzo Settore | Alessia M. Massaro

● Ho realizzato un biglietto da visita digitale con Kipin e una pagina di presentazione su Linktree.

● Ho iniziato a comunicare sui social grazie alla realizzazione di un semplice piano editoriale. La comunizazione ha interessato in particolare LinkedIn, ma anche Instagram e Facebook.


Sui social ho pubblicato idee, letture, spunti, successi e fallimenti personali. Su LinkedIN, in particolare, ho iniziato a seguire persone, enti e realtà del terzo settore, fino a rendere il mio feed completamente orientato alla progettazione sociale e ai miei ambiti di interesse.

Non è e non è stato tutto perfetto: i caroselli erano “bruttini”, i post disomogenei. Ma avevano una cosa importante: autenticità. E mi hanno permesso di farmi conoscere.


3. Ho offerto colloqui conoscitivi gratuiti

Nei primi tempi, per trovare opportunità, ho proposto alle associazioni dei colloqui conoscitivi gratuiti per esplorare insieme possibilità di collaborazione o accesso a bandi di finanziamento.

Ho fatto tantissimi incontri e preventivi, molti senza seguito. Ma altri sì. E da lì sono nate le prime vere collaborazioni. È stato un lavoro di semina, lungo e spesso silenzioso, ma fondamentale.


4. LinkedIn e passaparola: i miei due canali principali

Tutte le organizzazioni con cui collaboro oggi (e quelle con cui ho collaborato in passato) sono arrivate da due canali principali:

● LinkedIn, che ha funzionato come vetrina e come strumento di connessione.

● Il passaparola tra professioniste e professionisti che hanno fatto circolare il mio profilo all’interno di reti fidate.

In entrambi i casi, non è stato il curriculum in sé a parlare, ma la reputazione: quello che facevo vedere e raccontavo ogni giorno, con coerenza e impegno ma soprattutto i feedback positivi ricevuti.


5. Ho partecipato attivamente a network professionali

Un altro elemento che ha fatto la differenza è stata la partecipazione a reti professionali e comunità di pratica legate alla progettazione sociale.

Ho scelto di entrare a far parte di APIS – Associazione Progettisti Sociali (APIS – Associazione Italiana Progettisti Sociali), che rappresenta un punto di riferimento prezioso per chi lavora in questo ambito.

Ho utilizzato piattaforme collaborative come EU Villages (www.euvillages.it), che offre un luogo di scambio tra domanda e offerta nella progettazione, ma anche spunti progettuali, call aperte e possibilità di networking, e mi sono iscritta a gruppi online su LinkedIn e Facebook dedicati alla progettazione e alla cooperazione internazionale.

Questi spazi, spesso informali ma molto dinamici, mi hanno aiutato a:

● Rimanere aggiornata su bandi e opportunità

● Confrontarmi con altri professionisti

● Ricevere (e offrire) supporto e suggerimenti pratici


Essere parte di una rete è una scelta strategica: non si lavora mai davvero da soli, anche da freelance.


E oggi? Una fase diversa, più selettiva e focalizzata

Negli ultimi anni, il mio approccio è cambiato. Con l’esperienza e una rete più solida, ho adattato il mio modo di lavorare e di comunicare:

● I colloqui conoscitivi gratuiti esistono ancora, ma sono meno frequenti e più mirati.

● Ho imparato a selezionare meglio le opportunità: all’inizio ero più incline ad accettare ogni proposta, oggi mi concentro su pochi enti e su ambiti di intervento specifici, come la cooperazione internazionale e affinamento di ulteriori competenze nel project management.

● Do grande valore alla continuità e alla strutturazione del lavoro: preferisco collaborazioni stabili a progetti isolati o una tantum.

● Non seguo più un piano editoriale strutturato sui social. Non perché la comunicazione non sia importante, ma perché ho dato priorità ad altre attività.

● Mi capita più spesso di suggerire agli enti che mi contattano altre e altri professionisti anziché avviare nuove collaborazioni.


In conclusione

Diventare libera professionista nella progettazione sociale è stato un percorso graduale, costruito senza scorciatoie, ma con scelte chiare e una rete solida.

Se sei all’inizio, il mio consiglio è:

Inizia anche se non ti senti pronta/o. Raccontati, fatti conoscere, crea connessioni vere. Sii generosa/o e paziente. Il lavoro arriverà.

E se sei già in cammino: prenditi il diritto di cambiare ritmo, direzione e priorità. La carriera da freelance non è statica: si evolve con te.

Lavori anche tu nella progettazione sociale o stai cercando di capire come iniziare? Hai altre domande a cui non hai trovato risposta?

Scrivimi o lasciami un commento, mi fa sempre piacere scambiare idee con chi crede nel potenziale trasformativo di questo lavoro.


***


English version below


How I Started My Career as a Social Project Designer Freelance Consultant

One of the questions I get asked most frequently is:

"How did you become a freelance professional in social project design?"

Achieving economic independence in this often fragmented and unstructured field is far from guaranteed, but it is possible. In this article, I’ll share how I managed to do it: not through big investments or strokes of luck, but with consistency, patience, and networking.

1. I Asked for Help (Not Just Work)

The first step wasn’t looking for clients — it was asking for support from the right people.

I reached out to professionals in my field, not to pitch myself commercially, but to present my experience, skills, and most of all, my professional attitude.

I made sure to highlight not just what I could do, but how I did it: organisational and communication skills, flexibility, reliability. It was a way to get my name circulating — respectfully and transparently.

I useful tool that I am still using is a list of submitted calls for proposal; it shows both approved and rejected projects, but gives an idea about my experience and skills; years later, the list counts over 120 applications.


2. I Invested Time (and Very Little Money) in Personal Branding

I didn’t make major financial investments. Instead, I chose to invest my time in building a visible and credible professional presence:

● I created a professional website — in my case, using Jimdo, a simple and intuitive platform, ideal for beginners. My site tells my story and outlines my work.

● I created a digital business card using Kipin and Linktree.

● I have begun communicating on social media by following a basic editorial plan. My main focus was on LinkedIn, but I also used Instagram and Facebook.


On social media, I started sharing ideas, readings, reflections, successes, and failures.

On LinkedIn especially, I followed people, organisations, and initiatives in the Third Sector, until my feed became completely aligned with social design and my areas of interest.

Nothing was perfect— my first (and few) carousels were rough, my posts were visually inconsistent. But they had one essential element: authenticity. And they allowed me to get noticed.


3. I Offered Free Consultancy Calls

In the early stages, to generate opportunities, I offered free consultancy calls to associations to explore potential collaborations or funding opportunities together.

I had countless conversations and wrote many quotations, many of which led nowhere. But others did.

That’s how my first real collaborations began. It was a long and often silent planting season, but an essential one.


4. LinkedIn and Word of Mouth: My Two Main Channels

Every organisation I work with (or have worked with in the past) came through two main channels:

● LinkedIn, which served both as a showcase and a networking platform.

● Word of mouth among professionals helped circulate my profile within trusted networks.


In both cases, it wasn’t the résumé alone that made the difference — it was reputation: what I consistently shared, how I engaged, and how I showed up professionally.


5. I Actively Participated in Professional Networks

Another factor that truly made a difference was my involvement in professional networks and communities of practice focused on social project design.

I joined APIS – Associazione Progettisti Sociali, a key reference point for professionals in this field.

I also used collaborative platforms like EU Villages, which offer project ideas, open calls, and networking opportunities. In addition, I joined several online groups on LinkedIn and Facebook dedicated to project design and international cooperation.

These spaces — often informal, yet dynamic — helped me:

● Stay up to date on calls and funding opportunities

● Exchange ideas and best practices

● Receive (and offer) support and practical tips

Being part of a network is a strategic choice: even as a freelancer, you’re never truly working alone.


And Today? A New Phase: More Selective, More Focused

Over the last few years, my approach has changed. With more experience and a stronger network, I’ve refined the way I work and communicate:

● Free introductory calls still exist, but they’re fewer and more focused.

● I’ve learned to select opportunities more carefully. At first, I was more likely to say yes to anything — now I focus on a few organisations and specific areas, such as international cooperation and the acquisition of new expertise in project management.

● I deeply value continuity and structured collaboration. I prefer long-term partnerships over one-off projects.

● I no longer follow a structured editorial plan on social media. Not because communication doesn’t matter, but because I’ve chosen to prioritise other areas of my work and life.

● More often, when new organisations reach out to me, I recommend other professionals rather than start new collaborations myself.


In Conclusion

Becoming a freelance professional in social project design has been a gradual journey — built not with shortcuts, but through clear decisions and a strong professional network.

If you’re just starting, here’s my advice:

Start even if you don’t feel fully ready. Tell your story, get your name out there, and build real connections. Be generous and patient. The work will come.

And if you’re already on your path, permit yourself to change pace, direction, and priorities.

A freelance career isn’t static — it grows and evolves with you.

Do you also work in social project design or are you trying to figure out how to get started?

Do you have any questions you haven’t found an answer to?

Feel free to write to me or leave a comment — I always enjoy exchanging ideas with those who believe in the transformative potential of this work.


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